Groenlandia – Il fascino dell’ Artico

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Prima puntata di questo racconto. La seconda è qui

Atterrare in Groenlandia Orientale è un’ esperienza emozionante.

100 chilometri a Sud del Circolo Polare Artico, 300 chilometri ad Ovest dell’ Islanda, ultimo lembo Occidentale d’ Europa o forse primo lembo orientale del continente americano, dipende anche dai punti di vista.

Ma il bello arriva sicuramente dopo, con una luce di qualità unica, e panorami nuovi e stranianti.

La pista dell' aeroporto di Kulusuk, Groenlandia Orientale

Kulusuk – con il suo minuscolo aeroporto con la pista in terra battuta e panorama direttamente sui ghiacci – ci dà il benvenuto con cielo grigio e nubi basse, una pioggerellina fine che sembra provenire da ogni angolo. Non ci sono formalità di ingresso nel Paese, che ufficialmente è ancora una provincia danese. Sbarchiamo e ci affacciamo all’ esterno dell’ aeroporto.

Il villaggio non si vede, è al di là di una piccola altura. Ci sono una quarantina di minuti di cammino in uno scenario affascinante: tundra glaciale punteggiata di fiori artici, ruscelli e laghi, qualche chiazza di neve e tanto verde-bruno in un silenzio assoluto.

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Abbiamo solo un’ ora poi un elicottero rosso Ferrari (è il colore della linea aerea groenlandese!) ci porterà a Tasiilaq, il capoluogo della Groenlandia Orientale (Kalaallit Nunaat in lingua Inuit) ed una della città più grandi di questa isola, con i suoi 1.900 abitanti. Eh già, la Groenlandia è davvero un posto poco abitato.

D’ altronde, a Nord c’è il Polo, ad Ovest la calotta polare, ad Est il mare. Qui i rifornimenti arrivano con le navi, e si può navigare solo per cinque mesi all’ anno.

Tasiilaq è un posto talmente remoto che fu raggiunto dagli Occidentali per la prima volta solo nel 1884. Era appena terminata la piccola glaciazione, quel periodo di tempo che va dall’inizio del XIV alla metà del XIX secolo in cui nell’ emisfero settentrionale ci fu un brusco abbassamento della temperatura. I ghiacciai alpini invasero le valli e distrussero i villaggi, i porti delle città europee ghiacciavano d’ inverno così come i fiumi ed i canali.

A quel tempo la costa orientale della Groenlandia era irraggiungibile, protetta com’ era da una barriera di ghiaccio.

Ma intorno al 1850 il trend della temperatura si invertì. Divenne così possibile – dopo qualche decennio – raggiungere queste coste e di scoprire l’ esistenza degli Inuit della Groenlandia Orientale.

Loro, comunque, erano lì sin dal Medio Evo e forse prima. Arrivavano dalla Siberia, avevano attraversato l’ Alaska ed il Canada fino a raggiungerne la costa orientale. Lì si erano conquistati il nome di eschimesi, un’ appellativo da loro non amato, in quanto lo considerano dispregiativo. Glielo affibbiarono gli Algonchini – una tribù nativa americana – e la parola significa “mangiatori di carne cruda”. Loro preferiscono farsi chiamare Inuit, che nella loro lingua significa semplicemente “gli uomini”.

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Gli eschimesi conoscevano le tecniche di navigazione. Avevano già attraversato l’ oceano. Lungo lo stretto di Bering e la fascia delle Aleutine si erano spostati dall’ Asia all’ America. Stavolta avevano davanti il canale di Robeson. 30 chilometri di ghiaccio e mare. Neanche tanto rispetto all’ altra traversata.

Si ritrovarono così nel nord della Groenlandia.

Ma da lì all’ isola di Angmassalik (dove si trova Tasiilaq) ci sono diverse migliaia di chilometri di ghiaccio. Per raggiungere la costa sud orientale non c’ era che una possibilità: navigare. Attraversare l’ intera calotta polare era a quei tempi un’ impresa senza possibilità di riuscita. Ancora oggi sono pochi coloro che possono vantarsi di aver effettuato la traversata. Seguire a piedi la linea di costa (per buona parte libera dai ghiacci) avrebbe significato fare quasi il giro del mondo. La linea costiera groenlandese, infatti, ha un’ estensione di 39.330 chilometri, quasi la stessa lunghezza della circonferenza della terra all’ Equatore.

Gli Inuit questo non lo sapevano, ma lo avrebbero imparato a loro spese. Navigando nei loro kayak lungo la costa, raggiunsero prima l’ estremità meridionale della Groenlandia, e di lì puntarono di nuovo verso il Circolo Polare Artico, stavolta seguendo la costa orientale dell’ isola e finalmente raggiunsero questo fiordo riparato.

Qui però i primi insediamenti furono sopraffatti dal freddo del primo inverno e la zona tornò in breve ad essere disabitata.

Nelle estati successive arrivarono altre ondate migratorie ma anche queste raramente superarono il gelo della stagione fredda.

La costa orientale rimase quindi nuovamente disabitata, fino al XIV o XV secolo, quando gli Inuit della civiltà di Thule riuscirono a colonizzare stabilmente l’ area.

Se fino alla fine del XIX secolo gli indigeni non avevano avuto alcun contatto con l’ uomo bianco, anche i contatti con le altre comunità della Groenlandia meridionale ed occidentale erano sporadici: in mezzo c’ era sempre l’ inlandsis.

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Perciò l’ isolamento degli Inuit della Groenlandia Orientale è stato pressoché totale fino a poco più di cento anni fa. Ciò si riflette anche nella lingua, che si è sviluppata in modo differente rispetto a quella delle altre comunità: diverso è il vocabolario, diversa è la pronuncia. Un abitante di Nuuk, la capitale della Groenlandia, posta sulla costa occidentale, non è in grado di comprendere un abitante di Kulusuk. che parli nel suo dialetto locale.

La prima nave occidentale ad attraccare da queste parti era danese, ovviamente. Eara il 1829, ma si trattò solo di un passaggio. Fino al 1884 gli Inuit tornarono al loro totale isolamento. In quell’ anno fu Gustav Holm a gettare l’ ancora nel fiordo di Angmassalik, dove sorge il villaggio di Tasiilaq. Qui Holm ed il suo equipaggio trascorsero l’ intero inverno ed effettuarono i primi rilievi. Gli abitanti del villaggio, all’ epoca erano 413. Dopo la partenza di Holm trascorsero altri otto anni prima che un’ altra spedizione danese effettuasse nuovi rilievi, notando che la popolazione del villaggio era scesa a 294 abitanti. Il totale isolamento non faceva bene agli Inuit, che stavano lentamente scomparendo.

Il governo danese creò allora la “colonia” della Groenlandia Orientale e due anni più tardi fu fondata la stazione commerciale che diede vita al moderno insediamento. La condizioni di vita degli Inuit migliorarono e la popolazione riprese a crescere: nel 1914 gli abitanti erano 599 e da allora la tendenza alla crescita non si è ancora invertita. Nel 2014 erano 2.162

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Insomma gli uomini bianchi e gli Inuit della Groenlandia Orientale si conoscono da poco più di cento anni, e ci sono comunità, come quella di Isortoq, che hanno visto il primo europeo solo una sessantina di anni fa, durante la Seconda Guerra Mondiale.

Come a Kulusuk, anche a Tasiilaq regna il silenzio, rotto periodicamente solo dalle pale dell’ elicottero che garantisce il collegamento con Kulusuk.

Questi racconti sono tratti dal mio libro “Ventisette giorni e tre notti”, totalmente autoprodotto, corredato di oltre duecento fotografie a colori.

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