Il lampionaio di Breslavia

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The Wroclaw's lamplighter at work

Per due volte lo avevamo mancato.

Il sole iniziava a calare dietro il fiume, le guglie gotiche della cattedrale rosseggiavano, ma del lampionaio di Breslavia neanche l’ ombra.

Eravamo arrivati troppo presto, ed aspettare a lungo non é facile quando si é in giro con una figlia di due anni. Eppure prima o poi il lampionaio doveva materializzarsi per forza lungo le stradine acciottolate dell’ Isola della Cattedrale. In questi giorni i tramonti di Wroclaw sono splendidi e coloratissimi, sarebbero uno sfondo perfetto per il lampionaio al lavoro. Ma ci abbiamo già provato due volte e non siamo stati fortunati.

Il lampionaio di Breslavia

Pensate al carbonaio, allo spazzacamino, al venditore di ghiaccio, tutti mestieri scomparsi. Ed il lampionaio? Fino al diciannovesimo secolo, quello dal lampionaio era un lavoro rispettabilissimo. Univa alla routine quotidiana (o, per meglio dire, notturna) anche compiti straordinari di vigilanza.

Poi sopraggiunse la lampadina elettrica ed il lavoro iniziò a scarseggiare. La Treccani dà il mestiere come estinto. Ma evidentemente c’è un errore, perché in Europa sono ancora disponibili due posti di lavoro di questo tipo. Bisogna essere buoni e robusti camminatori, sapersi difendere dalle intemperie di ogni tipo e bisogna essere mattinieri, perché i lampioni, certo, si accendono al tramonto, ma poi bisogna andare a spegnerli all’ alba.

Se pensate di avere queste caratteristiche, potete spedire il vostro curriculum al comune di Brest in Bielorussia. Oppure a Wroclaw (Breslavia in Italiano), in Polonia. Ma dovete avere pazienza, perché entrambi i posti al momento sono occupati.

Non è quindi un accadimento di tutti i giorni vedere un lampionaio al lavoro, ma a Wroclaw, nella Polonia sud-ocientale, il nucleo originale della città, su un’ isola nel mezzo del fiume Oder, mantiene intatto il suo fascino medievale, con stradine lastricate e lampioni a gas, da accendere appunto ogni sera e con qualsiasi tempo, e da spegnere il mattino dopo.

Ci è andata male per ue giorni, ma sono aiutato anche dalla curiosità di mia moglie, e così eccoci di nuovo a tentare la sorte in una sera senza domani, semplicemente nel senso che il giorno dopo saremo partiti.

Il lampionaio di Breslavia

Ancora una volta siamo fortunati con le condizioni meteorologiche, il cielo è terso con solo qualche nuvola in giro, il tramonto pieno di colori. Manca solo lui, il lampionaio.

Ci aggiriamo lungo le stradine, lasciamo che nostra figlia Livia giochi un po’ con il suonatore di sassofono che staziona proprio all’ ingresso della città vecchia, ed eccolo finalmente svoltare all’ improvviso un angolo, con passo svelto: intabarrato in un mantello nero, il lampionaio è un omone alto e grosso, con un bel pancione ed una testa pelata grossa così. Porta in mano una specie di lunghissimo accendigas che ha una doppia funzione: permette di spostare la leva di apertura del flusso di gas e poi accende le fiammelle. Cammina a passo deciso e si ferma solo poche decine di secondi vicino ad ogni lampione: sono in tutto centotre e bisogna terminare l’ opera prima che sia buio!

Il lampionaio di Breslavia

Quando il lavoro è ormai quasi terminato, il lampionaio si concede una pausa: si avvicina al suonatore di sax, lo saluta ed inizia a chiacchierare. Solo pochi minuti, poi una nuova stretta di mano ed ecco l’ omone alle prese con il suo ultimo lampione, quello che illumina la massa verde d’ acciaio del ponte Tumski, che un tempo era la linea di confine tra la proprietà ecclesiastica e la città secolare. Ormai è il crepuscolo, l’ ultimo lampione si accende senza sforzo, come tutti gli altri.

Il lampionaio di Breslavia

E per stasera il lavoro del lampionaio è terminato. Si avvia, stavolta lentamente, verso il centro città mentre dietro di noi l’ isola risplende della romantica luce dei lampioni a gas. Se ne riparla domattina, prima dell’ alba e chissà se ripeterà il giro da dove la ha iniziato oppure al contrario. Ma per noi conta poco, perché all’ alba staremo preparando i bagagli per rimetterci in viaggio.

E vallo a togliere dalla testa di nostra figlia Livia che quell’ omone non era uno gnomo gigante!

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