Capita spesso, a chi se ne va per i villaggi o per gli alpeggi dei Walser, di fermarsi incantato a guardare sullo sfondo di una parete rocciosa l’enuclearsi in primo piano del tetto di una casa fatto di lastre di pietra accortamente sovrapposte le une alle altre, quali non soltanto per loro virtù materica (con brillio delle scaglie quarzose, venate di linee ruggini di licheni), ma anche e proprio per virtù formale dell’architettura (a cominciare dall’ampiezza e dall’inclinazione delle falde del tetto, secondo proporzioni che riecheggiano antichi parametri forti di una propria “classicità” primordiale) vengono a costituire un punto focale del paesaggio che illumina della sua presenza la presenza stessa delle vette delle montagne, che sembrano allietarsi di tale integrazione d’arte.
Giovanni Orelli, “Il sogno di WalaceK”

“Scusi com’è il sentiero per il prossimo villaggio?”
“E’ facile, tutto un saliscendi”
“E poi per tornare a valle è molto ripido?”
“Beh qui siamo in montagna, si aspetterà mica i tornanti ed una strada asfaltata?”
Simpatica la giovane donna a cui ho chiesto informazioni. Ha capelli lisci e biondi ed occhi azzurri ma l’ intonazione della voce non ha l’ inflessione tedesca che mi sarei aspettato, anche se siamo in Valle d’ Aosta.
I Walser: popolo delle altitudini
Siamo a oltre duemila metri, dove la vegetazione lascia il posto alla roccia, ai licheni, al silenzio. Qui si trovano gli avamposti dei Walser. Questi antichi nomadi, originari del Vallese svizzero, hanno scelto di stabilirsi in luoghi inaccessibili e impervi, sfidando le condizioni più estreme per coltivare la terra e allevare il bestiame. Tra creste, valichi e versanti esposti, hanno aperto passaggi, costruito villaggi, coltivato e allevato dove nessuno avrebbe pensato fosse possibile. C’è chi dice siano fuggiti da carestie o da sovrani oppressivi, chi parla di spirito d’indipendenza. Fatto sta che hanno scelto l’estremo. Hanno coltivato il fieno tra le rocce dove vivono i camosci, e portato il bestiame al pascolo dove inizia il ghiaccio. Dove tutto si conquista, e nulla è dato.

Alpenzu: tra architettura e silenzio
Alpenzu è un affascinante villaggio Walser situato sulle vette che dominano la valle del Lys, circondato da una natura aspra e spettacolare.
I tetti delle case, fatti di lastre di ardesia perfettamente sovrapposte, brillano alla luce. I licheni disegnano trame rosse e grigie sulle pietre. È un’architettura semplice, radicata, che sembra nata dalla montagna stessa.
C’è una fontana nel mezzo, usata ancora oggi come abbeveratoio e lavatoio. Ai bordi, shampoo, dentifricio, ciabatte: segni di una quotidianità ancora viva, ancora autentica. Attorno, qualche casa di legno, una chiesetta, aceri antichi. Tutto è essenziale.

Dove finisce il sentiero, inizia il ghiaccio
Ma la vera meraviglia è lo sguardo che si apre sul ghiacciaio del Lyskamm. A ogni passo si fa più vicino. D’inverno, questo villaggio è irraggiungibile. Anche d’estate, serve un sentiero stretto e ripido per arrivarci.
Si cammina. E più si sale, più si capisce. Un ghiacciaio non è solo freddo. È inospitale, brutale. Il deserto, al confronto, è quasi gentile. Dal sole puoi proteggerti. Dal ghiaccio no. Puoi camminare sulla sabbia con scarpe rotte. Sul ghiaccio no.
Li ho visti, quelli che salivano verso la Capanna Margherita. Piccozze, ramponi, zaini enormi. Si arrampicavano sull’Indren, decisi, sicuri. Era una mattina d’estate, limpida e fresca.
E ho visto anche le carovane del sale, in Africa, dirette a Timbuctù. Tuniche impolverate, sandali sfatti, eppure avevano già percorso centinaia di chilometri sulla sabbia ed altrettanti erano davanti a loro. Era il tramonto e si erano messi in marcia per sfruttare le ore fresche della notte. Il deserto è più clemente di un ghiacciaio. Andate a farvi un giro su un seracco di notte. Credo che restare isolati su un ghiacciaio senza l’attrezzatura adatta sia una delle esperienze più terrificanti che possa capitare. Ed una di quelle dalle quali hai meno possibilità di uscire vivo.

I Walser, custodi del limite
Eppure i Walser hanno scelto proprio questo: vivere dove gli altri non osavano, dove nessuno alleverebbe animali e coltiverebbe cereali. Dove il ghiaccio un tempo arrivava fino alle case. Quando il Lyskamm era più vicino, durante la Piccola Glaciazione, il villaggio già c’era. Lo citano i documenti già nel Duecento.
Il tempo qui si sente più che altrove. Le pietre, il legno, persino l’aria sembrano trattenere qualcosa. Riprendo il sentiero e la rivedo, bionda, scendere a gran balzi sicuri lungo il sentiero. Il più breve, mi aveva detto. Aveva ragione. Ma bisognava saperci andare.

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Bello il racconto, bellissime le foto. Sembra di stare li